sentenza

“E’ sempre la stessa vicenda che si ripete, con la quale vengo aggredito mediaticamente”. Cosi’ l’ex pm Antonio Ingroia, indagato per una duplice ipotesi di peculato, in merito al provvedimento di sequestro di beni disposto dalla Procura di Palermo nei suoi confronti, per l’attivita’ svolta quando ricopriva l’incarico di Amministratore unico della societa’ Sicilia e-Servizi. “Ho applicato sempre la legge – sottolinea Ingroia -, ho cacciato i corrotti ed i corruttori mettendoli alla porta della societa’ che era stata saccheggiata, ho denunciato fatti gravissimi e ruberie per centinaia di milioni di euro ma il paradosso e’ che mi ritrovo indagato, addirittura con un provvedimento di sequestro che ritengo totalmente ingiusto e immotivato, per alcune decine di migliaia di euro che mi vengono contestate e che spieghero’ nelle sedi opportune”. “Non sono abituato a fare vittimismo giudiziario o dietrologia. Certo, tutto si puo’ dire tranne che io abbia avuto un trattamento di favore”, aggiunge Ingroia, che si dice sorpreso e stupito: “Noto una singolare tempistica, siamo alla vigilia della sentenza sul processo Trattativa ‘Stato – mafia’. E’ noto che sono stato il pm ‘padre’, in un certo senso, di quella indagine. E certamente non fa bene, anche all’immagine di quell’indagine e di quel processo, che il pm, che ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli imputati, si ritrovi alla vigilia di quella sentenza con un provvediemnto cautelare sul capo. Non e’ un caso che abbiano festeggiato tutti gli imputati di quel processo e gli sponsor di quegli imputati di quel processo. Tanti sponsor in ambienti politici, istituzionali, giornalistici”.

”La sentenza della Corte di giustizia europea risponde a questioni pregiudiziali che riguardano un procedimento antecedente al nuovo quadro normativo comunitario sulla coltivazione di Ogm, visto che dal 3 marzo 2016 in Italia, cosi’ come in altri 21 Stati membri dell’Unione, e’ vietata la coltivazione di mais geneticamente modificato MON 810”. Cosi’ la Cia-Agricoltori Italiani sulla sentenza emessa sul caso dell’agricoltore Giorgio Fidenato del 2014. Una novita’ all’interno del dibattito, precisa il presidente della Cia, Dino Scanavino, e’ anche il fatto che la Corte sottolinei che gli Stati membri non possono adottare misure di emergenza provvisorie sulla base del solo fondamento del principio di precauzione, senza che i rischi sulla salute siano manifesti alla luce di un parere dell’Autorita’ scientifica. Secondo la Cia non si puo’ ignorare la posizione di importatore netto che l’Italia ha rispetto ad alcune produzioni che, nel resto del mondo, possono essere coltivate come Ogm, come la soia che si importa per l’alimentazione animale e che, per l’85% della produzione mondiale, e’ geneticamente modificata. ”Tutto cio’ apre degli interrogativi – osserva Scanavino – e rende urgente l’apertura di un dibattito costruttivo sul futuro di alcune produzioni agricole. Sminuire la sentenza della Corte europea e analizzarne i contenuti solo rispetto agli Ogm, vorrebbe dire continuare a concentrare l’attenzione politica su una tecnologia sempre piu’ datata e sottovalutare la spinta evolutiva della ricerca in agricoltura che sta aprendo a nuove frontiere sempre piu’ sostenibili dal punto di vista ambientale e della sicurezza alimentare come, per esempio, la cisgenetica”.

“La sentenza della Corte di Cassazione che ha escluso il nesso di causalita’ tra vaccinazione e autismo, nel caso sottoposto all’esame della Corte d’Appello di Salerno, mette a tacere le voci di chi sta facendo campagna elettorale sulle spalle della salute dei bambini con campagne del terrore”. Cosi’ il deputato di Alternativa popolare Vincenzo Garofalo. “Come sottolineato dal ministro Lorenzin, questa non e’ una battaglia politica ma una battaglia che ha come obiettivo quello di salvaguardare le famiglie mettendo a tacere chi in questi mesi sta ingiustificatamente seminando panico con le fake news contro le vaccinazioni”.

Oltre venti mesi di udienze, migliaia di intercettazioni e atti che superano abbondantemente il milione di pagine. Il primo maxi processo Mafia Capitale è arrivato a conclusione con la sentenza fissata per domani nell’aula bunker del carcere di Rebibbia.Le accuse per i 46 imputati, vanno, a seconda delle posizioni, dalla corruzione, alla turbativa d’asta, all’usura e l’estorsione, fino all’associazione mafiosa.Secondo chi indaga l’ex estremista di destra Massimo Carminati e l’imprenditore delle cooperative Salvatore Buzzi, conosciutisi in carcere negli Anni Ottanta e diventati soci in affari dopo il 2011, avrebbero condizionato per lungo tempo, con tangenti, minacce ed estorsioni, la gestione di appalti e risorse nella Capitale.Pesanti le richieste di condanna arrivate dalla procura e sulle quali dovrà decidere il collegio presieduto da Rosanna Ianniello: ventotto anni di carcere per Carminati, 26 e tre mesi per Buzzi e pene che vanno dai due ai 25 anni per gli altri 44 imputati, per complessivi 515 anni di carcere.Nel procedimento figurano ex amministratori locali di diversi schieramenti politici, ex dipendenti pubblici e dirigenti di azienda: ci sono, tra gli altri, Giovanni Fiscon (5 anni di carcere la richiesta dei pm) e Franco Panzironi (21 anni) in passato ai vertici dell’azienda romana dei rifiuti (Ama) come direttore generale e amministratore delegato; l’ex componente del tavolo di coordinamento per i rifugiati del Viminale, Luca Odevaine (2 anni e mezzo la richiesta dei pm per aver collaborato con gli inquirenti), e l’ex capogruppo Pdl in Regione Lazio Luca Gramazio (19 anni e mezzo), l’ex presidente dell’Assemblea capitolina, Mirko Coratti (4 anni e mezzo), l’ex presidente del municipio di Ostia Andrea Tassone (4 anni), e gli ex consiglieri comunali Pierpaolo Pedetti del Pd (4 anni) e Giordano Tredicine del Pdl (4 anni).Tra i 19 imputati per associazione di stampo mafioso, oltre a Carminati, Buzzi, Panzironi e Gramazio, sono a processo l’ex dirigente di Eur spa Carlo Pucci (chiesti per lui 19 anni di carcere), i collaboratori di Carminati, Riccardo Brugia, (25 anni e 10 mesi di carcere), Roberto Lacopo (21 anni) e Matteo Calvio (21 anni); la segretaria di Buzzi, Nadia Cerrito (18 anni), il commercialista Paolo Di Ninno (19 anni), la compagna dell’imprenditore, Alessandra Garrone (18 anni e sei mesi), Carlo Maria Guarany (19 anni) e Claudio Caldarelli (19 anni), entrambi stretti collaboratori di Buzzi.Chiesti rispettivamente 18 anni e 16 anni e due mesi, per gli imprenditori Agostino Gaglianone e Giuseppe Ietto, ritenuti a servizio dell’associazione; e 16 anni di carcere per Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, considerati dalla procura il punto di contatto tra il gruppo e la Ndrangheta.Negli anni, secondo la tesi dell’accusa, il gruppo capitanato da Massimo Carminati, che in origine aveva stretti legami con la cosiddetta banda della Magliana, sarebbe cresciuto diventando più potente e ampliando il proprio raggio d’azione da banda criminale dedita all’estorsione, a organizzazione impegnata nel controllo di attività economiche, appalti e commesse pubbliche.Dopo il 2011 si sarebbero stretti i legami con Salvatore Buzzi: l’associazione sarebbe ulteriormente cresciuta, sostiene l’accusa, arrivando a condizionare la politica e la pubblica amministrazione, senza però mai abbandonare la strada originaria, della violenza, dell’estorsione e dell’usura, perché da quella, sostengono i pm, trae forza la ‘nuova mafia’, proprio come quelle ‘tradizionali’.”La fama criminale determina paura, assoggettamento e omertà, che sono le caratteristiche di un’organizzazione mafiosa”, sostiene l’accusa, secondo cui è questo aiuto che Buzzi si è assicurato, negli anni, pagando il 50 per cento degli utili di quattro grandi cantieri a Carminati: l’imprenditore avrebbe scelto l’ex estremista nero per il timore che incuteva il suo nome, per i suoi contatti con la destra romana, e soprattutto per avere un socio sempre pronto al ‘lavoro sporco’ fatto di minacce, e violenza contro chi non stava ai patti dettati dall’associazione.

Lo Stato dovra’ risarcire oltre 17 milioni di euro a 29 familiari delle vittime della strage di Ustica (27 giugno 1980, 81 morti). E’ quanto ha stabilito, con una sentenza depositata ieri, la prima sezione civile della Corte d’Appello di Palermo rigettando l’appello che l’Avvocatura dello Stato aveva presentato contro la sentenza di condanna emessa dal Tribunale civile di Palermo nel 2011. Secondo la Corte del capoluogo siciliano, resta accertato il depistaggio delle indagini svolte all’indomani del disastro aereo del Dc9 Itavia. Il velivolo, che da Bologna andava a Palermo, con ogni probabilita’ fu abbattuto da un missile e a parere dei giudici civili di Palermo i Ministeri della Difesa e dei Trasporti non assicurarono al volo adeguate condizioni di sicurezza. Per i giudici palermitani e’ esclusa l’ipotesi alternativa della bomba collocata a bordo dell’aereo o di un cedimento strutturale, in linea, quindi, con lo scenario gia’ tracciato dall’istruttoria conclusa nel ’99 dal giudice Rosario Priore.

Dopo le critiche degli avversari politici e di parte del Movimento, il sistema delle Comunarie viene messo in discussione anche dai giudici, insieme al ruolo e ai compiti dei leader del Movimento 5 stelle. Il Tribunale di Genova con una sentenza destinata ad alimentare la discussione ha sospeso gli effetti della delibera che annullava le ‘primarie’ del 14 marzo per la scelta del candidato sindaco della citta’ ligure (vinte da Marika Cassimatis) e l’elezione di Luca Pirondini a portabandiera del Movimento per le comunali, avvenuta tre giorni dopo. I giudici hanno accolto il ricorso di Cassimatis contro Beppe Grillo. Secondo il giudice Roberto Braccialini “al Capo politico e’ riconosciuto un ruolo di indirizzo e impulso particolarmente penetrante che pero’ (…) non si identifica nel ‘diritto di ultima parola’”, ruolo che, si sottolinea ancora nell’ordinanza, viene ricoperto da “deliberazioni/votazioni assunte dalle assemblee telematiche che il capo politico puo’ convocare”. Raggiante per il verdetto la 53enne insegnante di geografia. “Tecnicamente – ha detto Cassimatis – se non arrivano smentite dovrei avere ancora la titolarita’ del simbolo” del Movimento. “E’ stata veramente una battaglia per la giustizia e la legalita’”, la vittoria di Davide contro Golia che dimostra che “se c’e’ determinazione e si e’ convinti delle proprie idee, si riesce ad avere ragione. Il nostro e’ uno Stato di diritto, e il ‘fidatevi di me’ non e’ sicuramente uno strumento adatto a risolvere le controversie di questo livello”. Se dal Movimento non arrivano ancora dichiarazioni, il mondo della politica commenta con favore la sentenza. Per il senatore del Pd Andrea Marcucci, “il colpo di mano di Grillo non e’ passato”, mentre Pino Pisicchio (Misto) sostiene che la decisione dei giudici “assume un’importanza decisiva nelle dinamiche interne alle formazioni politiche, esigendo il rispetto delle regole di democrazia”. Arturo Scotto (Mdp) afferma che “a Genova si sancisce un punto importante a favore della democrazia, che e’ solo una per tutti i partiti, e non puo’ essere usata in maniera asimmetrica come un randello”, mentre Renato Brunetta (Forza Italia) auspica che il Movimento 5 stelle possa esprimere un candidato sottolineando che “non e’ mai bene quando la magistratura interviene cosi’ nella libera determinazione e nelle libere scelte dei partiti”. La sentenza potrebbe avere ripercussioni anche a Padova. Il secondo arrivato, Leonardo Forner, ha infatti scritto allo staff della Casaleggio Associati per chiedere l’annullamento del voto interno del 29 marzo, che ha indicato in Simone Borile il candidato.

L’ex presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo è stato assolto dall’accusa di concorso esterno alla mafia. L’ex leader dell’Mpa è stato condannato a due anni per voto di scambio. Questa la sentenza della Terza Corte d’appello di Catania nel processo a Lombardo dopo circa 8 ore di camera di consiglio. L’ex presidente della Regione era stato condannato in primo grado a sei anni e otto mesi.

La Corte Costituzionale ha depositato ieri sera la sentenza con cui lo scorso 25 gennaio ha sancito la parziale illegittimità della legge elettorale cosidetta ‘Italicum’ (in particolare ballottaggio e libertà di opzione per i capilista eletti in più collegi). La sentenza e’ firmata dal presidente della Corte, Paolo Grossi, e dal giudice relatore Nicolo’ Zanon. “Non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell’assemblea elettiva e l’eguaglianza del voto”. E’ la motivazione con cui la Corte Costituzionale ha bocciato il ballottaggio. La Consulta spiega che con l’italicum “una lista puo’ accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito al primo turno un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo piu’ che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno. Le disposizioni censurate riproducono cosi’, seppure al turno di ballottaggio, un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato nella sentenza n.1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente”. Per la Corte il capolista non decide il destino del voto di preferenza. E’ ‘irragionevole’ affidare “alla decisione del capolista il destino del voto di preferenza espresso dall’elettore nel collegio prescelto, determinando una distorsione del suo esito in uscita, in violazione non solo del principio dell’uguaglianza ma anche della personalita’ del voto”, tutelati dagli artt. 3 e 48 della Costituzione. Lo afferma la Consulta nella sentenza sull’Italicum, nella parte in cui boccia la disposizione che consentiva al capolista eletto in piu’ collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione. Per la Corte sono necessarie maggioranze omogenee. “La Costituzione, – si legge nelle motivazioni – se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee”.