Paolo Borsellino

Il ricordo della strage di via d’Amelio “è ancora vivo” e “profondo deve essere l’impegno delle istituzioni, della società civile e dei cittadini nel contrasto alla criminalità organizzata”. Lo ha detto Laura Boldrini, ricordando in aula alla Camera il 25esimo anniversario della strage di via d’Amelio. “Il Parlamento in questa legislatura si è mosso in questa direzione, ma non basta -ha sottolineato la presidente della Camera-. Per il successo della battaglia contro la mafia occorre che nei cittadini, soprattutto i più giovani, si radichi la cultura della legalità”. La Boldrini, tra l’altro, ha sottolineato: “Sta a noi esortare le giovani generazioni a non disperdere il senso di questo insegnamento”, mentre “dobbiamo continuare ad attuare in modo fermo” l’impegno antimafia “nella attività parlamentare e in generale nella politica attraverso i nostri provvedimenti e i nostri comportamenti”.

“Troppe sono state le incertezze e gli errori che hanno accompagnato il cammino nella ricerca della verita’ sulla strage di Via D’Amelio, e ancora tanti sono gli interrogativi sul percorso per assicurare la giusta condanna ai responsabili di quel delitto efferato”. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aprendo il Plenum del Csm, in ricordo di Paolo Borsellino. ievocare le loro figure (Borsellino e Falcone, ndr) non puo’ e non deve essere un rituale fine a se stesso, originato dalle spinte emotive suscitate dall’occasione, e questo ci viene ricordato, ancora una volta, dall’ignobile oltraggio recato al busto di Giovanni Falcone, nella scuola di Palermo a lui dedicata, e ancora ieri a quello contro la stele che ricorda Rosario Livatino”. A 25 anni dalla strage di via D’Amelio il Consiglio Superiore della Magistratura ricorda la figura di Paolo Borsellino autorizzando la pubblicazione di tutti gli atti e i documenti relativi al percorso professionale del giudice Borsellino, dal suo ingresso in magistratura, nel 1963, fino alla tragica morte del 19 luglio 1992, quando vennero uccisi anche 5 agenti della sua scorta. Per il presidente della Repubblica “la tragica morte di Paolo Borsellino, insieme a coloro che lo scortavano con affetto, deve ancora avere una definitiva parola di giustizia.

Il problema della lotta o comunque delle indagini sulla criminalita’ mafiosa io lo sento profondamente”, “non vedo perche’ l’opinione pubblica non debba essere interessata di questo problema; anzi e’ pericoloso quando l’opinione pubblica non viene interessata a questo problema”, che “non e’ una lotta tra giudici e mafiosi, ne’ tra poliziotti e mafiosi, ma e’ un problema che interessa tutti”. A pronunciare queste parole il 31 luglio 1988 e’ Paolo Borsellino. Di fronte ha la prima Commissione del Csm e il Comitato Antimafia che lo ascolteranno 4 ore, dalle 10 alle 14. Lo stralcio e’ un passaggio del verbale di quell’audizione che, insieme agli altri atti relativi al magistrato ucciso dalla mafia con la scorta il 19 luglio 1992, il Csm ha deciso di pubblicare a 25 anni dalla strage di via D’Amelio. Perche’ il Csm volle ‘interrogare’ Borsellino? Dopo un convegno dove gia’ aveva parlato di questi problemi nel totale silenzio della stampa locale, Borsellino fu contattato da Repubblica e dall’Unita’ e rilascio’ delle interviste in cui manifestava forti preoccupazioni per la situazione in cui si trovava l’ufficio istruzione di Palermo col pool antimafia. Alla guida di quell’ufficio aspirava Falcone, ma fu scelto Antonino Meli: era il gennaio 1988. Il Csm e molti suoi componenti di allora ritenevano che Borsellino avrebbe dovuto passare per i canali istituzionali anziche’ per il clamore della stampa. Un clamore che Borsellino ammette di non aver cercato ne’ previsto. Nel verbale dell’audizione, on line sul sito del Csm, il giudice, incalzato dai consiglieri, spiega come operava il pool antimafia: stretta collaborazione e lavoro “giorno e notte”. “Dal gennaio al novembre 1985 non credo di essere uscito se non per 4-5 ore al giorno, e per giorno intendo le 24 ore, dalla mia stanza senza finestre nel bunker”, racconta. Dal suo resoconto, fuoriesce anche il primo tentativo di “computerizzazione dei processi” in un’epoca che non aveva ancora preso confidenza con l’informatica. Ma anche fasi drammatiche, come il trasferimento suo, di Falcone e delle famiglie all’Asinara, dopo l’assassinio del commissario Cassara’, che li porto’ ad essere “segregati in un’isola deserta” per continuare a lavorare al maxi-processo. I passaggi piu’ significativi del documento sono quelli in cui Borsellino manifesta le sue preoccupazioni per la “sorte del pool antimafia”. Timori fondati su quanto gli riferivano i colleghi magistrati, anche se nel corso dell’audizione qualche consigliere tenta di derubricare a “confidenze” quelle parole. Ma Borsellino sa bene, e lo dice, che quegli allarmi non sono pettegolezzi. E spiega bene l’opera di “smantellato” del pool, le azioni per depotenziarlo: le indagini non assegnate a Falcone, quelle finite a magistrati esterni al pool sul cui tavolo arrivano invece procedimenti che con la mafia non c’entrano nulla; i piani di ristrutturazione non condivisi e calati dall’alto. Si determina cosi’ una caduta di tensione di fronte alla quale Borsellino si dice “allarmato”. “Quando contemporaneamente – dice – si verificano una stanchezza sia nell’opinione pubblica sia negli esponenti culturali su questo problema; una poca attenzione dello Stato nel suo momento amministrativo, perche’ si continua a tenere la Sicilia, con riferimento agli organi di polizia, in una situazione di assoluta marginalizzazione; quando, insieme a cio’ il pool che e’ l’unico organo investigativo che, parliamoci chiaro, e’ quello che ha riaperto la questione per iniziativa prima di Rocco Chinnici e poi di coloro che lo hanno seguito, quando tutto questo va male, e’ certo che sono estremamente allarmato”.

“Ventiquattro anni. Se penso a Paolo, al suo umorismo e alla sua brillante intelligenza, il tempo trascorso da quel terribile pomeriggio di luglio si riduce ad un istante” Lo scrive il presidente del Senato Pietro Graso sulla sua pagina facebook in occasione dell’anniversario della morte di Paolo Borsellino e la sua scorta. “Ho avuto il privilegio di collaborare con lui e di fare tesoro delle sue intuizioni investigative. Ho avuto, soprattutto, la possibilità di conoscere l’uomo dietro la toga, di godere della sua straordinaria umanità. Paolo era estroverso, amava la semplicità delle cose a dispetto delle difficoltà di una vita professionale fatta di ostacoli insormontabili, amare rinunce, indicibili calunnie. Umanamente e professionalmente mi ha insegnato tantissimo. Sapeva sempre trovare la forza e le ragioni per continuare nel proprio lavoro, anche quando i rischi connessi alla professione avevano lasciato spazio alla certezza che presto sarebbe stato ucciso. Il ricordo della sua inesauribile tenacia mi conforta quando la mente si concentra sui pezzi di verità che mancano per ricomporre la storia dietro la stagione delle stragi: ventiquattro anni diventano improvvisamente un tempo lunghissimo e doloroso, un fardello insopportabile che scuote la coscienza di tutti i cittadini che hanno a cuore il presente e il futuro del nostro Paese”. “Le vittime innocenti della mafia, gli uomini e le donne delle forze dell’ordine caduti, le persone che facevano il tifo per Giovanni e Paolo ai tempi del maxiprocesso e che non hanno smesso di impegnarsi per la legalità chiedono a gran voce che sia fatta giustizia. Lo dobbiamo a ciascuno di loro – conclude -, a noi stessi, alla memoria di Paolo e di chi ha perso la vita onorando il rischioso compito di proteggerlo: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Fabio Li Muli”.