La politica di oggi si caratterizza, tra le altre cose, per la violenza verbale e l’aggressività che la pervade. Sia nei talk show televisivi sia nelle aule parlamentari ma anche nelle dichiarazioni a mezzo stampa, assistiamo ad attacchi ad personam, ad insulti e a esibizioni che hanno il solo scopo di deridere, umiliare o ridicolizzare l’avversario politico, oggi sempre di più visto come un ‘nemico pubblico’. Non c’é tempo per esporre le proprie ragioni, per spiegare: sono disponibili pochi minuti e allora molti li utilizzano per demonizzare la controparte politica. Esistono, è vero, delle felici eccezioni, figlie di una tradizione politica – comunista o democristiana – e di un modo di concepire la politica in termini di moderazione, di riflessione, di argomentazione e confronto. Tutto il resto è scontro frontale e rissa, nella convinzione che andare sopra le righe, alzare i toni serva – oltre che ad infangare il rivale in politica – anche ad ottenere visibilità e a conquistare la ribalta. I famosi 15 minuti di celebrità di cui parlava Andy Warhol e che si rivelano, come un boomerang e dopo l’effetto iniziale, una ennesima dimostrazione della propria pochezza e inconsistenza culturale. I populismi che oggi allignano nel nostro Paese – quello leghista e quello del M5S su tutti – ma anche in Europa sino ad arrivare con Donald Trump negli Usa – si cibano di frasi volgari e ad affetto, di insulti, anatemi e allarmismi: é il loro modo di essere, l’unico che conoscono per imporsi all’attenzione mediatica. Dicono di voler rappresentare l’antipolitica: hanno ragione. Sono il contrario della buona politica civile e democratica perché preferiscono parlare alla pancia degli elettori e non al loro cervello.