Scesi dal bus 19 barrato, in via Libertà, all’angolo con via Notarbartolo, attraversai la strada, in tuta e con la racchetta in mano, e lo raggiunsi in prossimità del cancello di Villa Zito ‘posso stringerle la mano?’. Era il 1980. Di lui conoscevo solo ‘Il giorno della civetta’ che avevo appena letto grazie alla scuola. Con quello sguardo sinceramente umile, autentico nella gentilezza, si protese verso di me, ragazzino di undici anni ‘certo, grazie, grazie’. Ricordo che mi sorrise affettuosamente. Mi voltai e me ne andai. Felice. Oggi mi ritrovo, cinquantenne, a constatare l’enorme vuoto che ha creato, venti anni fa, la sua scomparsa. Di Sciascia, del suo valore, della lungimiranza delle sue parole, della sua coscienza civica, della sua libertà di pensiero, oggi abbiamo la piena consapevolezza. Poveri di veri intellettuali come siamo, di pensatori che non debbano rispondere a nessuno se non alla propria moralità e alle proprie idee. Personalmente non riesco a pensare a Sciascia e non anche, contemporaneamente, a Luigi Pirandello. Due facce della stessa medaglia. Due conoscitori dell’anima siciliana, dei siciliani, dei nemici della Sicilia, dei millantatori, degli adulatori di professione, della gente in maschera e con le maschere, dei tanti prostituti, dei demiurghi un tanto al chilo. Sciascia e Pirandello. Pirandello e Sciascia. La Sicilia migliore. Perché… “la verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità.” (L.S)