Editoriale

Scesi dal bus 19 barrato, in via Libertà, all’angolo con via Notarbartolo, attraversai la strada, in tuta e con la racchetta in mano, e lo raggiunsi in prossimità del cancello di Villa Zito ‘posso stringerle la mano?’. Era il 1980. Di lui conoscevo solo ‘Il giorno della civetta’ che avevo appena letto grazie alla scuola. Con quello sguardo sinceramente umile, autentico nella gentilezza, si protese verso di me, ragazzino di undici anni ‘certo, grazie, grazie’. Ricordo che mi sorrise affettuosamente. Mi voltai e me ne andai. Felice. Oggi mi ritrovo, cinquantenne, a constatare l’enorme vuoto che ha creato, venti anni fa, la sua scomparsa. Di Sciascia, del suo valore, della lungimiranza delle sue parole, della sua coscienza civica, della sua libertà di pensiero, oggi abbiamo la piena consapevolezza. Poveri di veri intellettuali come siamo, di pensatori che non debbano rispondere a nessuno se non alla propria moralità e alle proprie idee. Personalmente non riesco a pensare a Sciascia e non anche, contemporaneamente, a Luigi Pirandello. Due facce della stessa medaglia. Due conoscitori dell’anima siciliana, dei siciliani, dei nemici della Sicilia, dei millantatori, degli adulatori di professione, della gente in maschera e con le maschere, dei tanti prostituti, dei demiurghi un tanto al chilo. Sciascia e Pirandello. Pirandello e Sciascia. La Sicilia migliore. Perché… “la verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità.” (L.S)

Proseguono gli scontri violenti tra i manifestanti e la polizia locale ad Hong Kong. Ha fatto il giro del mondo la foto e il video del poliziotto che spara ad un giovane corso in difesa di un suo amico appena ammanettato. E all’orizzonte non si intravede alcuna soluzione. Piccoli gruppi di indipendentisti, con la mascherina al volto, si riuniscono nei momenti più diversi della giornata per protestare. La diplomazia mondiale sta a guardare e non solo perché si tratta di una partita che non interessa e che non ricopre significato per attori terzi, ma anche e soprattutto perché nessuno vuole schierarsi contro il governo di Hong Kong e quindi, contro la potenza di Pechino. Gli Usa di Donald Trump, che qualche motivo per abbracciare la causa di Hong Kong l’avrebbero, si limitano a condannare – come ha fatto ieri la portavoce del Dipartimento di Stato, Morgan Ortagus, ‘la violenza di ogni parte’, esprimendo ‘vicinanza alle vittime, a prescindere dalle loro inclinazioni politiche’. Frasi di circostanza che mal celano la paura o il calcolo di non prendere posizione. Forse fa bene ricordare la situazione di Honk Kong che dal 1997 è una regione amministrativa speciale cinese. In poche parole, fa parte della Cina ma mantiene una sua forma di autonomia. Prima di allora, ossia dal 1842 in poi, era stata una colonia britannica, sottratta alla Cina. Oggi Hong Kong, vera potenza commerciale, cresciuta con il capitalismo liberista e con un ordinamento giuridico e legislativo improntato ai principi generali della tradizione anglosassone. Ebbene, nel 1984, proprio a Pechino, venne firmata la Dichiarazione congiunta sino-britannica, in base alla quale, i territori di Hong Kong sarebbero tornati sotto il controllo della Cina a partire dal 1997, ma a patto che il sistema economico e politico della città rimanesse invariato sino al 2047, per altri cinquant’anni. Un paese con due sistemi, che ha vissuto e continua a vivere la protesta con la famosa ‘rivoluzione degli ombrelli’, usati dai manifestanti per proteggersi dai lacrimogeni usati dalle forze dell’ordine. dal 2017, il governatore é Carrie Lam, una donna troppo vicina alla Cina. L’ultimo ‘pretesto’ di scontro tra il governo locale, filocinese e i manifestanti é l’approvazione della legge sulla estradizione, che permetterebbe alla Cina di processare e condannare chi non accetta i suoi dettami, oltre che i presunti autori di reati. La realtà è che Honk Kong non vuole diventare una provincia della Cina e, quindi, vedersi negati diritti fondamentali e libertà civili conquistate a caro prezzo. Dall’altra parte, Pechino non ha alcuna intenzione di attendere il 2047 per appropriarsi di un territorio che ritiene proprio, da sempre.

Si susseguono le notizie dell’occupazione turca e dell’eccidio curdo. Le violenze e le uccisioni sono peraltro ampiamente documentate e fanno il giro del mondo sui social media e sul web in genere. Intanto, le truppe turche hanno iniziato insieme alle milizie arabe filo-Ankara l’offensiva su Manbij, località strategica controllata dai curdi a ovest del fiume Eufrate. E sul fronte Usa? Sanzioni annunciate da Trump al governo turco e dazi su acciaio. Donald Trump che a breve firmerà un ordine esecutivo “per imporre sanzioni contro dirigenti ed ex dirigenti del governo turco e qualsiasi persona che contribuisca alle azioni destabilizzanti della Turchia nel nordest della Siria”. Saranno inoltre aumentati i dazi sull’acciaio sino al 50% e fermati i negoziati per un accordo commerciale con Ankara da 100 miliardi di dollari. Basterà? Sicuramente no. Sanzioni economiche, forse, ritiri delle truppe certi: le forze speciali americane si sono ritirate dalla loro postazione a sud di Kobane, dove si trovavano a difesa delle milizie curde dall’offensiva turca nel nord-est della Siria. Lo riferisce la Cnn turca. Erdogan comunque mostra i muscoli “Andremo fino in fondo – minaccia il tiranno – siamo determinati. Finiremo quello che abbiamo iniziato”, confermando in questo modo l’intenzione di non interrompere l’offensiva contro i curdi nel nord-est della Siria. Dall’Unione europea solo indignazione e poco più ‘L’Ue condanna l’azione militare della Turchia che mina seriamente la stabilità e la sicurezza di tutta la regione”. Si legge nel testo di conclusioni del Consiglio esteri dell’Ue sull’offensiva militare di Ankara nel nord est della Siria, in cui si sancisce anche “l’impegno degli Stati a posizioni nazionali forti rispetto alla politica di export delle armi”. Inoltre nel documento si richiede un “incontro ministeriale della Coalizione internazionale contro Daesh”. Sostanzialmente, Bruxelles sta a guardare, ma Erdogan lo sa bene.

E alla fine Renzi prese il coraggio a due mani – cosa che non gli è mai risultata difficile – e ha annunciato la sua fuoriuscita dal Pd che lo ha visto segretario e che gli ha consentito di ricoprire la carica di Premier. Ma si può parlare di un gesto di profonda ingratitudine? A nostro avviso, no. Renzi é un leader politico europeista, moderno, capace, naturalmente proiettato nel futuro, dalle grandi capacità comunicative. Cosa ci stava a fare il fiorentino Matteo nel partito di Zingaretti e di Zanda? Nulla di significativo. Non c’era alcuna prospettiva per lui che di sinistra e di ideologico non ha mai avuto nulla. L’augurio che in molti si fanno è che possa dare vita ad una formazione di Centro, di ispirazione liberale e riformista, che dia voce e rappresentanza a tutto quell’elettorato che non vuole morire leghista o grillino e che confida nelle istituzioni democratiche, che crede nella Costituzione e nell’Unione europea, nelle eccellenze che l’Italia rappresenta, nella possibilità per il nostro Paese di ritornare sulla ribalta internazionale con il rispetto e la considerazione che merita. Saprà Renzi offrire una opportunità a questo elettorato moderato, stanco degli insulti e delle smargiassate sui social media, delle incompetenze esibite come medaglie al merito? Saprà Renzi costruire un partito plurale e libero da oligarchie di corto respiro? Riuscirà a dare al Mezzogiorno una reale possibilità di crescita e di sviluppo in un contesto di responsabilizzazione delle sue energie migliori? Potranno, i sostenitori di questa formazione politica, riconoscersi nel programma e nei valori costitutivi? Se davvero Renzi riuscirà in questa operazione che non è solo politica ma culturale e di rifondazione democratica, allora avrà successo. In caso contrario, si tratterà dell’ennesimo partitino che vuole dire la propria sulle nomine e sugli equilibri di Palazzo anziché volare alto per restituire autorevolezza e credibilità alla politica nazionale.

 

La radio e la sua magia resistono all’avvento delle nuove tecnologie, dei social media, degli impegni quotidiani e del tempo che non sembra passare, a giudicare dagli ascolti. Una notizia di cui essere fieri. Una buona notizia per tutto quello che la radio significa, con la sua potenza, i suoi affezionati fan, le sue potenzialità e la sua energia. Il web inoltre, non solo non ne ha intaccato la forza ma ne ha accompagnato la crescita e la diffusione, fornendole l’apporto oggi essenziale del digitale, e rendendo così possibile la sua presenza sui telefoni cellulari e su tutti i dispositivi. La musica, l’informazione, l’intrattenimento, l’interazione con i suoi utenti rimangono pertanto sulla cresta dell’onda, in un contesto come quello odierno dei mezzi di comunicazione, che si rinnova e si trasforma con modalità e tempi molto rapidi. La radio mantiene ancora oggi la sua pervasività ma non a danno della complicità e della discrezione che ispira e che la connotano in modo distintivo. Lunga vita alla radio.

La ‘voce’, l’autorevolezza e la credibilità della Cnn non si discutono. Come la forza del suo brand nel mondo. E quindi c’è da stare poco allegri se la storica e potente testata si mette a fare la lista delle mete turistiche da preferire in questa calda stagione estiva. E così accade, fra le altre cose, che Torino possa prevalere su Venezia. E chi lo avrebbe mai detto? Questo uno degli effetti della classifica delle venti più belle città europee da visitare stilata dal network a stelle e strisce. Così tra luoghi come Orange in Francia, Sarajevo in Bosnia, Ankara in Turchia, la Cnn inserisce anche Torino, considerata come un’alternativa a Venezia per tutti quei turisti che non amano i luoghi invasi da turisti. Questo il consiglio by Cnn “La vicina Torino è meno congestionata. Il capoluogo del Piemonte è anche la città dove si trovano i luoghi più sottostimati d’Italia, tra questi il museo di arte contemporanea del Castello di Rivoli, la Basilica di Superga e il Museo Egizio, con la sua fenomenale collezione di reperti egizi”. E sempre secondo la Cnn, oltre alle bellezze artistiche si può anche semplicemente sorseggiare un caffè all’aperto, deliziarsi con una delle migliori cucine italiane oppure godersi il semplice fatto di essere lontani dalle orde di turisti delle destinazioni più popolari d’Italia. Che dire? Torino-Venezia 1-0. Con buona pace per gli amanti delle gondole, degli amanti del Ponte di Rialto e di piazza San Marco.

Il buon senso consiglierebbe la massima severità nei confronti di chi viene sorpreso alla guida di una automobile, di una motocicletta o di altro mezzo dopo aver assunto droghe o alcol. E invece assistiamo impotenti a stragi causate da chi non si fa nessuno scrupolo nel condurre un mezzo in assenza di qualsiasi capacità di autocontrollo, di lucidità, di consapevolezza. I morti di queste settimane non si contano più. E le analisi che vengono eseguite sul conducente della strage non lascia dubbi: ha fatto uso di cocaina, di anfetamine, ha bevuto alcolici….
Senza considerare tutti quegli incidenti stradali dalla dinamica incerta e che con ogni probabilità dipendono dal fatto che il guidatore fosse distratto dall’uso del telefono cellulare, intento a rispondere a qualche messaggio o impegnato in una conversazione telefonica. Ci si chiede il motivo per il quale le forze dell’Ordine e la polizia municipale non aumentino i controlli, con sanzioni esemplari per i trasgressori. Il fenomeno non solo non accenna a diminuire ma é in rapida crescita. E se la situazione rimane invariata non resta che dire ‘si salvi chi può’.

Sono in molti a voler difendere i diritti, sacrosanti, degli omosessuali senza averne i titoli, il garbo, il rispetto per le persone. Vi è chi lo fa perché realmente motivato nella tutela della dignità di chi ama persone dello stesso sesso, ma vi è anche chi si cimenta in questa impresa solo per ribadire il proprio ruolo, per farsi portavoce di una istanza senza alcuna autorizzazione o solo per quindici minuti di celebrità. Chissà a quale categoria di difensori appartiene Alessandro Cecchi Paone che, intervenendo in modo scomposto a La zanzara su Radio 24, si è lanciato in una delle sue invettive «Le calciatrici lesbiche hanno un doppio problema. Ci sono molte più donne lesbiche nel calcio femminile che gay in quello maschile. Da anni aspettiamo il coming out di un calciatore, ma dopo il Mondiale ci sarà il coming out di intere squadre femminili. In una squadra almeno la metà sono lesbiche e ovviamente non lo dico in senso negativo. Le ho sempre protette…’. Viene da chiedersi se un atleta ha l’obbligo di dichiarare i propri gusti sessuali, se deve farlo per compiacere Cecchi Paone e chi la pensa come lui. Si tratta forse di una informazione essenziale per apprezzare le gesta sportive di un calciatore o di una calciatrice? Può esistere una sfera della propria vita privata, della propria intimità che è possibile tenere fuori dal clamore della stampa, dei social media e del pettegolezzo? Speriamo di sì

‘Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre’. Lo disse Abraham Lincoln ma calza a pennello per il Movimento 5 Stelle che più volte si è spacciato per ciò che non era: un movimento con una reale democrazia al suo interno, votato al principio dell’onestà e della trasparenza, con il vincolo dei due mandati, e l’attività politica considerata come una parentesi di ‘servizio civile’ da abbandonare dopo un breve periodo, con il dogma dell’uno vale uno per il quale siamo tutti uguali, con il valore dell’incompetenza elevato a sistema, con lo spirito e le dinamiche della setta religiosa, del nemico alle porte e del complotto permanente. Si sgonfia dopo queste elezioni europee il mito del Movimento creato da Casaleggio padre e dal comico Beppe Grillo, che non a caso se ne è allontanato per non rimanere con il cerino in mano. Perché una bugia ha il tempo contato, soprattutto se la esponi e la racconti a un intero popolo che pretende esempi e non slogan. Diverso il discorso per la Lega di Matteo Salvini che mantiene, ahimè le sue promesse, e che ha il bagaglio culturale e ideologico della destra sovranista e autoritaria e che viene incontro alle frustrazioni di un popolo come quello italiano che non crede più nella democrazia e nelle sue lungaggini, che preferisce le maniere forti, le semplificazioni, le scorciatoie, la disintermediazione, il bianco o il nero. La Lega in tal senso è un’amara verità e il M5S, invece, una stupida bugia che non poteva più resistere dinnanzi al controllo di un elettorato che non perdona più nulla e che di fronte alla inconsistenza dei vertici del Movimento ha deciso di ritirare la fiducia accordata poco tempo fa.

Il caso della professoressa di Italiano Rosa Maria Dell’Aria, dell’istituto industriale Vittorio Emanuele III di Palermo, sospesa per due settimane dall’Ufficio scolastico provinciale per un video in cui si confrontavano le leggi razziali al decreto sicurezza voluto da Salvini è emblematico dello spirito del tempo in questa nostra Italia, della strategia e della filosofia dell’autoritarismo che serpeggiano e che vogliono imbavagliare il libero pensiero, la pubblica opinione che contrasta con i dogmi del potere, la stampa non di regime, il respiro stesso dell’opposizione e delle minoranze di tutti i generi. Se da un lato è inquietante constatare lo strisciante conformismo al quale ci si dovrebbe conformare, dall’altro è consolatorio assistere a fenomeni vari di resistenza a tutte queste forme di abusi e di violenze che vengono perpetrati ai danni di chi non ha voce e strumenti per farla sentire. I professori e i giornalisti liberi sono custodi della civiltà e della democrazia, del confronto e del dialogo, del diritto di critica e di parola. Sono formatori ed educatori. A loro ma non soltanto a loro, il compito di difendere tutto ciò che abbiamo faticosamente conquistato e che oggi è a rischio.