Giletti e Mezzojuso, quando l’informazione muore e trionfa la tv trash

Costretto per motivi familiari a seguire per un anno e passa le alquanto banali e noiose puntate di Non è l’Arena su La7 e quindi le gesta di un collega che non stimo affatto, Massimo Giletti, alle prese con le tre sorelle Napoli, presunte vittime di intimidazioni mafiose in quel di Mezzojuso, ho sperato e spero ancora che la puntata finale, in diretta, dalla piazza del centro nel Palermitano segni la fine di questa indecente e incresciosa telenovela che ha avuto il solo merito di far capire come non deve essere affrontato il tema della mafia e dell’antimafia in televisione. Tutti gli errori che era possibile commettere,infatti, il masaniello catodico delle cause perse, Giletti, li ha commessi, in fila, uno per uno: confondere vittime con carnefici, criminalizzare e infamare una comunità, far di tutta l’erba un fascio, spettacolarizzare il Nulla ed elevarlo a categoria dell’anima, portare al rango di commentatori-opinionisti personaggi che non avevano niente da dire e che lo dicevano malissimo, alimentare odi meschini, vendette e gelosie, ‘mascariamenti’ alla vigilia della messa in onda settimanale e tutto il campionario dell’antimafia di chi la fa per mestiere, per share e per quindici minuti di notorietà. Resta un fatto: il sindaco di Mezzojuso, Salvatore Giardina, è una brava persona che è entrata in un gioco molto più grande di lui e che in alcuni casi si è fatto prendere la mano. Ma quando una tv prende di mira, solo per questioni di ascolti, una persona o un intero paese, la cosa migliore che le vittime predestinate possono fare è astenersi, non partecipare, ignorare per non legittimare. Giletti e la sua trasmissione erano alla ricerca di un ‘colpevole’, come in tutti i processi che si celebrano in televisione. Il primo cittadino e Mezzojuso servivano solo a questo: assumere le sembianze dell’imputato in attesa del giudizio pronunciato dai telespettatori. Speriamo sia finita, in tutti i sensi, ma non lo credo affatto.

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