E’ morto Provenzano. Grasso: porta con sé tante verità che abbiamo il dovere di cercare

E’ morto il boss corleonese Bernardo Provenzano. Ottantatré anni, era malato di cancro da tempo e detenuto col regime di 41 bis nell’ospedale San Paolo di Milano, reparto di medicina penitenziaria. La salma e’ stata trasportata all’Istituto di medicina legale per l’autopsia. Indicato come il capo di Cosa nostra, venne arrestato l’11 aprile del 2006 in una masseria di Corleone dopo una latitanza durata 43 anni. Tutti i processi in cui era ancora imputato, tra cui quello sulla trattativa Stato-mafia, erano sospesi perché il boss, secondo più perizie mediche, era ritenuto incapace di partecipare. Per le sue condizioni di salute, l’avvocato del boss, Rosalba Di Gregorio, aveva chiesto da anni, ma senza successo, la revoca del regime carcerario duro e la sospensione dell’esecuzione della pena. Il giudice di sorveglianza di Milano 2 giorni fa aveva detto no alla scarcerazione del boss poiché “trovandosi in condizioni di assoluta debolezza fisica”, sarebbe potuto andare incontro ad “eventuali ‘rappresaglie’ connesse al suo percorso criminale. La Corte europea dei diritti umani intanto ha avviato l’esame del ricorso che i familiari di Provenzano, avevano depositato nel 2013 sostenendo che la sua detenzione era incompatibile con il suo stato di salute. “La morte di Bernardo Provenzano e’ una liberazione. Oggi si celebra il nostro 25 aprile”, ha detto sindaco di Corleone Lea Savona, per la quale la sua presenza era rimasta “ingombrante”, nonostante fosse in carcere da parecchi anni2. Bernardo Provenzano, era chiamato ‘Binnu u tratturi’ (“Bernardo il trattore”), per la violenza con cui falciava i nemici. Ma anche il ‘ragioniere’ per la sua attenzione a fare i conti. Si legò a Luciano Liggio che lo affiliò alla mafia. Partecipò alla ‘strage di viale Lazio’ a Palermo per punire il boss Michele Cavataio e Nei primi anni Ottanta, con la collaborazione del boss Totò Riina, scatenò la cosiddetta ‘seconda guerra di mafia’, per eliminare i mafiosi rivali. A far scattare il suo arresto nel 2006 non furono tanto i “pizzini”, foglietti di carta con cui mandava ai collaboratori ordini codificati, ma il braccio che raccolse un pacco di biancheria pulita attraverso la porta della masseria in cui si trovava. Su quel pacco, uscito dalla casa della moglie di Provenzano, a pochi chilometri dalla masseria, i poliziotti avevano messo gli occhi e lì finì la latitanza del numero uno di Cosa Nostra. “Sono molto cattolica, quindi non posso che augurarmi che Provenzano sia morto in pace essendosi pienamente pentito delle sue azioni – ha commentato Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni, morto nella strage di Capaci nel 1992. – Per il resto, la sua morte e’ un fatto naturale. Ha pagato il suo conto con la giustizia”. Per il presidente del Senato Pietro Grasso: “Porta con se’ tanti misteri, pezzi di verita’ che abbiamo il dovere di continuare a cercare”.

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